Luca D., Federica P. e Giada P. ci propongono di dare uno sguardo al resto del mondo, quello in cui l'infanzia è un privilegio riservato a pochissimi. In questo post iniziano a descriverci i problemi presentando dati, interviste, video....
L'Infanzia negata
Sempre più spesso siamo colpiti da storie inquietanti, che vedono come protagonisti e vittime i bambini. I numerosi episodi di pedofilia, storie di violenza e di maltrattamento all’interno della famiglia, precoce avviamento al lavoro in condizione di sfruttamento e di schiavitù, arruolamento forzato in eserciti, sfruttamento dei minori da parte delle organizzazioni criminali fanno sì che l’infanzia e l’adolescenza di milioni di bambini sia compromessa. I bambini, che da sempre rappresentano la ricchezza e il futuro delle nazioni sono, quindi, sempre più spesso oggetto di traffici da parte di persone senza scrupoli, che non esitano a sfruttarli, a venderli, e nei casi più “estremi” ad ucciderli per venderne gli organi.
Così si evidenzia l’ambiguità della società contemporanea che, se da una parte è giunto a conquiste tecnologiche un tempo impensabili, dall’altra risulta più “disumanizzata”.
Tutte le storie di bambini e ragazzi duramente provati da terribili esperienze di vita non solo chiamano in causa adulti senza scrupoli che hanno esercitato su di loro forme di violenza, ma anche i pubblici poteri. L’esistenza di un’infanzia a rischio chiede risposte adeguate: protezione, potenziamento della scuola, creazione di strutture di aiuto alle famiglie, miglioramento della condizione economica.
Bisognerebbe creare servizi di assistenza sociale capillari ed efficienti in grado di individuare le situazioni di reale bisogno. E’ molto importante investire risorse nell’istruzione per formare cittadini consapevoli delle loro capacità, e delle scelte che intendono fare.
La situazione in Italia
Anche se l’Italia è un paese industrializzato, presenta situazioni di povertà, di degrado e di disagio anche fra i più piccoli. In molte periferie delle nostre città vi sono mancanze di servizi, secondo alcuni studi in Italia sono migliaia i ragazzi a rischio, che per mancanza di assistenza da parte dei genitori sono abbandonati a se stessi. Essi spesso vivono in condizioni precarie, alcuni invece di andare a scuola sono costretti a lavorare, anche se la legge proibisce il lavoro minorile. Alcuni bambini/ragazzi sono utilizzati in attività illecite, come spaccio di stupefacenti e piccoli furti, in questo modo sono strappati ai comportamenti tipici della loro età (giochi, frequenza scolastica…) per essere sfruttati dagli adulti. Si tratta di una forma di violenza contro individui fragili che rischiano di restare segnati dalle esperienze fatte.
La situazione in altre zone del mondo
In altre zone del mondo, guerre, carestie, malattie, sfruttamento nel mondo del lavoro segnano milioni di bambini. Terribili sono le conseguenze della guerra su di loro: secondo un rapporto dell’UNICEF nel decennio scorso circa 1.500.000 bambini, sono stati uccisi a causa dei conflitti armati e più di 500.000.000 sono rimasti mutilati..
In almeno ventiquattro Paesi del Mondo, ragazzi o bambini che possono avere anche 10/12 anni vengono mandati sui campi di battaglia in conflitti sanguinosi. In molti casi i bambini-soldato sono considerati particolarmente adatti alle missioni di pericolo, come spionaggio, attacchi suicidi.
Testimonianze di ex bambini-soldato
Il gruppo di “Cooperazione Internazionale” ha costruito giusti centri dove vengono raccolti i giovani quando fuggono o quando dopo un accordo con il governo vengono rilasciati dai ribelli. Quale futuro può avere questa generazione cresciuta a pane e fucili? E’ questa la grande sfida della rieducazione, portata avanti da operatori che cercano di restituire a questi ragazzi non certo l’infanzia rubata, ma almeno la speranza di un futuro migliore.
“Ho rubato, bruciato case non voglio ricordare, spero che mi lascino in pace, voglio solo ricominciare”
E’ difficile tornare, e poi dipende dove torni.
Prima che mi prendessero i ribelli, vivevo in un villaggio con mia nonna. La vita lì non era male, mio padre ci dava un po’ di soldi, avevamo un orto e del pollame. Per noi era sufficiente. La mia prima casa è stata bruciata e mia nonna ora vive da sua sorella in un quartiere di Freetown, dominato da baracche fatte di lamiera ricoperte di plastica e legno. Non so come potremo vivere, io mi devo occupare di lei. E’ difficile ricominciare da una casa di latta, non c’è spazio per respirare. La gente sopravvive di stenti. Non voglio rispondere a nessuna domanda, non voglio che mi guardino con paura. So cosa pensa la gente di noi ex combattenti. Ci temono, pensano che siamo tutti drogati. Ragazzi capaci di uccidere. Io non ho scelto questa vita, mi hanno costretto, mi hanno cambiato nome, identità, ogni giorno ho vissuto con la paura della morte in agguato. Sono stato fortunato non mi hanno tagliato niente, se no povera nonna, si sarebbe dovuta prendere cura di me! Nessuno si deve permettere di chiamarmi ribelle. Ho imparato a uccidere, è vero, ma mi drogavano per farlo. Ho rubato, bruciavo case, non voglio ricordare. Spero solo che mi lascino in pace. Voglio solo ricominciare.
Mohamed, 15 anni
“Ho un amico che spesso si sveglia di notte, fa sempre lo stesso incubo: lui che ammazza suo padre”
Come tanti altri bambini – soldato, ho vissuto un anno nel bush. Nella foresta tutto assumeva nuove dimensioni, ci sentivamo protetti, era facile mimetizzarsi tra la vegetazione, nascondersi arrampicarsi su qualche albero. Non c’era spazio per vivere, eppure non ci stavo male. Non avevo mai vissuto nel bush. Ogni giorno era un’avventura. Ho visto animali che prima non immaginavo neanche che esistessero. Mi divertivo a osservarli arrampicandomi su alti alberi, passavo le giornate ad aspettare che passassero. Ho visto tante specie differenti di scimmie, erano buffe nei loro movimenti, riuscivo scovare i serpenti nelle loro perfette mimetizzazioni. Una volta ho avuto anche la fortuna di avvistare un leopardo. Con alcuni miei amici ci divertivamo ad aprire sentieri con il machete, era una continua scoperta. Nella foresta c’era tutto il necessario per sopravvivere: banane, manghi, noci di cocco e tanti animali. Spesso andavamo a caccia di scimmie. Non bisognava pagare niente. Bastava prenderselo.
Avrei voluto vivere nel bush senza i ribelli, loro mi hanno fatto odiare quel magico luogo. Non avevo paura della notte, ma solo del mio comandante. Quando arrivai nel bush, dopo essere stato catturato, ero molto impaurito, era tutto nuovo per me e avevo visto troppi orrori, ero molto confuso. All’inizio lavavo, spazzavo, cucinavo, portavo quello che mi ordinavano di portare. Sono entrato a far parte della famiglia, mi hanno assegnato un nome nuovo, una nuova identità. Il mio nome nella foresta era Tupacamu, nome di un famoso gangster americano. Mi misero nelle mani la mia prima arma. Il mio comandante mi insegnò a sparare, non l’avevo mai fatto prima. Mi esercitai qualche giorno, poi arrivò il momento. Avrei dovuto partecipare all’assalto di un villaggio. Ma mi avrebbero dovuto preparare, era l’ora della medicina. «Prendi queste pillole» disse il mio comandante, aprendomi la bocca e facendomi ingoiare delle strane pillole blu. «Con queste non avrai più paura, sarai potente, qualsiasi cosa vorrai fare riuscirai, ora sei imbattibile.» Fui subito molto confuso, provavo una strana sensazione, mi vedevo come un gigante e vedevo gli altri più piccoli. Uno dei ribelli mi gridava: «Uccidi! Uccidi!»
Ogni volta mi davano una medicina diversa, a volte me la iniettavano, altre volte mi facevano dei tagli vicino alle tempie o sulle guance e mi mettevano sopra al taglio una polvere marrone o bianca, poi la coprivano con del terriccio o cerotti, altre volte mi facevano bere strani cocktail. Senza quella medicina non avrei potuto fare quello che ho fatto. Pensavo di essere imbattibile. Più uccidevo e più il mio comandante era orgoglioso di me. Non ho mai attaccato il mio villaggio, in questo mi ritengo fortunato. Ho visto amici impazzire, perché sotto l’effetto della medicina erano costretti a bruciare le loro case e uccidere i loro familiari. Ho un amico che spesso si sveglia di notte, fa sempre lo stesso incubo: lui che ammazza il padre. Il 17 Dicembre è una data importante: il mio comandante mi ha rilasciato. Sono stato portato al centro di Lakka, c’era il mare. Mi sono riposato, ho studiato e giocato. Mi sono trovato bene e ho conosciuto tanti ragazzi che come me avevano provato la dipendenza dalla medicina. Non è facile farne a meno, ci si sente così vulnerabili senza armi, senza droga.
Ora sono libero, posso tornare a casa, non ho assalito il mio villaggio, non mi temono. Il mio educatore ha rintracciato la mia famiglia e sono felici di riavermi con loro. Voglio andare a scuola, non so se troverò i soldi, qui non siamo nel bush, la vita costa cara.
Alì
I ragazzi di strada
I “ragazzi di strada” sono presenti in tutto il mondo, ma soprattutto nelle società più povere, dove scarsissimi sono i mezzi di sussistenza e i bambini vengono “affidati”, ma più spesso abbandonati alla strada dalle proprie famiglie.
Così in una sua poesia il poeta P. Arnaldo De Vidi descrive, con incisività, la vita dei Meninos de Rua.
Menino de Rua
Lui che fa il bagno nella fontana della piazza del Duomo
Lui che chiede di lustrare le scarpe a chi accompagna il funerale
Lui che chiede una sigaretta e l’accende alle candele della Chiesa
Lui che con disinvoltura lava parabrezza ai semafori… senza riuscire ad asciugarli
Lui che mente chiedendoti un’offerta per il latte del fratellino
Lui che sale la scala mobile a balzi dalla parte che scende
Lui che si chiama Pelé e dribla le macchine giocando a pallone sulla strada
Lui che ascolta musica a tutto volume e balla il rock nella zona di silenzio
Lui che lavora come mini-scippatore e deve consegnare il bottino allo “zio di strada”
Lui che beve con sei cannucce dai fondi delle bottiglie
Lui che finge di leggere il giornale trovato nell’immondizia
Lui che dorme sul marciapiede coprendosi con i giornali pieni di vuote promesse
Lui che surfa suicida sul tetto dei treni, “perché tanto nessuno mi vuole bene”
Lui che “annusa colla di calzolai”, la droga dei “menino de rua”
Lui che inseguito dalla polizia…sarà il “nostro Giudice nel giorno del Signore” .
P. Arnaldo De Vidi si è impegnato per anni a favore dei Meninos de Rua, ed ha assistito con i propri occhi alla desolante miseria di questi ragazzi. La sua è una testimonianza che dà l’accurata elencazione dei loro abituali comportamenti e degli stratagemmi ideati per sopravvivere. L’ultimo verso “…sarà il nostro giudice nel giorno del Signore” costituisce un forte richiamo morale alla responsabilità di ogni uomo, ispirato da una qualsiasi fede religiosa, poiché nessun uomo dovrebbe tollerare la negazione dei diritti, primo fra tutti quello ad avere un’esistenza dignitosa.
Nel gennaio 1996 decide di sviluppare la sua azione creando una struttura locale, indipendente dove sviluppare attività artistiche come mezzo per reintegrare i ragazzi nella società: nasce così "FUNDATIA PARADA" una fondazione che vuole offrire a questi ragazzi un’occasione per scoprire se stessi, per star bene con se stessi nonostante certe esperienze a dir poco negative e ritornare nella propria famiglia, riprendere la scuola e inserirsi nel mondo del lavoro per avere autonomia economica.
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