giovedì 17 marzo 2011

Lo zio Diritto



Continuiamo la riflessione sui diritti con il punto di vista di Simona D: leggiamo la sua storia

Lo zio Diritto

C’era una volta un bambino che non esisteva, o meglio, esisteva, ma nessuno la sua presenza al mondo conosceva: un piccolo tizio, solo “uno”.
Chissà dov’era nato, e da che madre, addirittura il nome gli mancava, chissà se aveva dei parenti, un padre, o se aveva una casa in cui abitava. 
Sono possibili cose così? si chiederà, incredula, la gente:
e la risposta è, purtroppo, sì: ci sono alcuni che non hanno niente.
Perché era solo, e privo di tutto? Esattamente non si sa il motivo: forse perché talvolta il mondo è brutto, forse perché, talvolta, un po’ cattivo. Così lui c’era, ma era un “nessuno”, perché non basta, a uno, essere nato, se non lo chiama e lo ama qualcuno, e nel silenzio viene abbandonato.

Ma qui, poiché gli era fatto un torto, venne in suo aiuto un certo Diritto, e disse:
«No,questo non lo sopporto, non posso stare fermo, né star zitto!»
Chi era quel Diritto? Un mago? Un re?
Adesso non importa: l’importante era che esistesse, ed anche che facesse qualcosa per quel bambino.
Ed ecco cosa fece: il bambino, che fino a quel momento era sperduto, ebbe un nome preciso: Agostino, ebbe casa e una famiglia, ebbe aiuto.
Ora aveva un luogo, aveva gente, che lo chiamava, che lo conosceva, era persona effettivamente, adesso era qualcuno, e lo sapeva. Così la storia può ricominciare:
«C’era una volta il piccolo Agostino che viveva in un posto in riva al mare, in una casa con un bel giardino …»

…e andava molto spesso a passeggiare sulla spiaggia vicina, a fare il bagno e cercare conchiglie bianche e nere che, pur non procurandogli guadagno, erano belle e davano piacere. Quelle più belle, poi, le raccoglieva e a casa con gran cura le portava, in un cassonetto chiuso le teneva, e come un tesoro conservava.
Un giorno, mentre siede sulla sabbia a guardare la danza delle onde,sente un lontano un urlo di rabbia che con un’altra voce si confonde. Si alza, corre verso quel baccano: un uomo sta inseguendo una bambina tenendo un bastone nella mano, e le pagine, e lui le si avvicina.

Un giorno, mentre siede sulla sabbia a guardare la danza delle onde,sente un lontano un urlo di rabbia che con un’altra voce si confonde. Si alza, corre verso quel baccano: un uomo sta inseguendo una bambina tenendo un bastone nella mano, e le pagine, e lui le si avvicina.

Agostino si chiede: «Cosa fare?». Corre da quella parte, chiede aiuto, grida: «No,fermo! Tu, lasciala stare!» Ma nemmeno lo sente, l’uomo bruto: ha la faccia stravolta, tutta rossa, sembra che non capisca quel che fa,  respira forte, ha la voce grossa, povera lei, se la raggiungerà!

Ma li vicino c’è un pescatore che tira la sua rete su dal mare, e somiglia, in viso, a quel signore che nella prima storia seppe dare ad  Agostino il nome che mancava: sì, gli somigliava, però sta pescando, mentre quell’altra volta non pescava. Insomma è lì, mentre l’omaccio urlando, sta già per acchiappare la bambina, e l’ha raggiunta, e il bastone alzando con faccia di minaccia si avvicina. Agostino ha un gelido terrore che gli va per il corpo ed il cervello: però, come fermare il picchiatore? Lui è un bambino, mentre invece quello …
Ed ecco, in quel momento, il pescatore muove le mani in fretta, e come niente vola su quel tipaccio inseguitore la rete della pesca, e sveltamente gli cade addosso stretta ed aggroviglia le sue braccia violente e il bastone, lo fa inciampare in un parapiglia, lo impacchetta già per la prigione. E Agostino giunge in quel momento, si ferma lì, vicino alla bambina, chiede: «Chi è quel tipo violento?»

Ma non risponde, quella piccolina, perché è troppo piena di terrore: non parla, non gli dice proprio niente, lo guarda in faccia come con stupore, e sembra sorda, muta, indifferente. Agostino le tende la sua mano e dice: «Vieni?» Lei , senza parlare, la prende, e insieme se ne vanno, piano, sopra la spiaggia, lungo il verde mare.

C’era una volta Agostino e Marina che andavano a cercare la salute perché non era sana, la bambina, a causa delle botte ricevute: non solo i colpi, anche ricordare le metteva dolore alla mente, così era difficile parlare e del passato non sapeva niente: sapeva solo come si chiamava e spesso era distratta, come muta, spesso, nel letto sola si sdraiava e se ne stava ferma, lì seduta…

Allora Agostino e Marina andarono a cercare sanità. Avrebbe avuto aiuto, la bambina ? Proseguendo la storia si saprà. Trovarono un dottore, e Agostino gli chiese un parere su Marina, ma quello disse:«Mio caro bambino, ho poco tempo, sai, questa mattina…»

Andarono da un medico in vista, perché studiasse quella mattina, ma quello disse: «Sono specialista, visito l’aristocrazia…» Insomma, non trovano nessuno che accettasse di curarla un po’: qualcuno era occupato, e qualcuno diceva loro: «Farlo gratis? No!»

Stanchi e delusi, allora, Agostino e la sua amica andarono a sedere sulla panchina di un bel giardino a mangiarsi una mela e delle pere. C’era un bambino, lì, che li guardava e gli dissero: «Anche tu ne vuoi?» Lui prese la sua mela, e la mangiava, poi disse:«Io mi chiamo Paolo, e voi?» E fecero amicizia, e compagnia, si raccontarono le loro cose: quelle di gioco, e quelle di allegria, e anche quelle un poco dolorose.

E quando Paolo seppe la questione di Marina  e dei medici, osservò: «Mio zio ha detto che, le persone, negare l’assistenza non si può!» «E noi siamo persone?» chiede lei. Allora Paolo resta un poco zitto, poi dice: «Sì, lo siamo, io direi: e lo assicura anche lo zio di Diritto!» Sapendo questa cosa, sveltamente, andarono i tre amici andarono da un dottore e gli dissero:«Obbligatoriamente, curi bene Marina, per favore!» Così, dopo sei giorni e quattro cure, un poco di riposo e un’aspirina, passarono tristezze e paure e tornò a star benissimo Marina. Se ne andarono i tre senza pagare e disse Agostino al nuovo amico: «Andiamo da tuo zio, a ringraziare, perché ci è stato utile, lo dico!» Ma Paolo disse:«Se n’è andato via, e ha lasciato un solo bigliettino …» «Cosa c’è scritto?» chiede in allegria Marina, e vuol saperlo anche Agostino. «Uno strano messaggio…», Paolo fa, «C’è scritta questa frase: Sono avanti». «Sono avanti?», con curiosità dice Marina, e insieme, tutti quanti si mettono a discutere la cosa, e a ragionare,ed ha immaginare: ma la trovarono troppo misteriosa e nel giardino tornarono a giocare. Quanto a noi, curiosi di sapere dov’è lo zio Diritto che sta “avanti”, delle altre storie dovremo vedere, e speriamo che siano interessanti.

Paolo e Marina, insieme ad Agostino, cercavano la strada per Bengodo, un posto né lontano né vicino,dove si può giocare in ogni modo e fare festa finché si fa sera: però non conoscevano la via. Disse Agostino: <<Amici, la maniera perché sensato il nostro viaggio sia, è leggere un cartello indicatore>>. <<Sì>>, fa Marina, <<Eccone uno là!>>, e si avvicina, e prova  con fervore a leggerlo, però non ce la fa. <<Ma com’è scritto?>>, dice corrucciata, <<Non capisco niente, io! E voi?>>.
Rispondono: <<Che lingua strampalata! Non ci capiamo niente neanche noi!>>. << E’ una lingua straniera, certamente>>, dice Marina, <<e impararla dobbiamo per giungere a Bengodo, finalmente: se no, per la strada, forse ci perdiamo!>>.

Così decidono di andare alla scuola, e non solo per leggere i cartelli, ma anche per sapere come vola il passero, e tutti gli altri uccelli, anche per imparare a far di conto, e la scienza, il canto, la poesia: per prepararsi un pensiero pronto e stare al mondo in sana compagnia…

Però la scuola è chiusa: un gran cartello annuncia sopra il muro, in lingua chiara: <<Bambina bella e bambino bello,  voi  resterete  somaro e somara, saluti cari: il Corpo Non Docente>>. <<Cosa? Ma come?>>, dicono i tre amici, << Noi resteremo , conseguentemente persone ignoranti ed felici?>>

Ma ecco, appare un tale che assomiglia a uno che si è visto in precedenza, e prende e scuote forte la maniglia e grida con sdegnata virulenza: <<Apri la porta, Corpo Non Docente, o la sfondiamo noi, nostra parola! Tu  non lo sai che, gratuitamente, ogni bambino deve andare a scuola? Non lo sai tu, che occorre l’istruzione e che bisogna darla proprio a tutti, perché, senza sapere, le persone valgono meno di mezzi prosciutti?>>

E mentre è lì che fa questa sparata c’è una bambina con i libri in braccio che alla scuola è appena arrivata: e appena sente dire del fattaccio comincia a tempestare sul portone con libri e tutto, mentre i nostri tre si uniscono alla manifestazione picchiando con gran foga: è come se ci fosse una tempesta eccezionale. Allora, a quel frastuono, lentamente, s’apre la porta, e appare il personale e tutto quanto il Corpo Non Docente, e subito riprende la lezione e s’imparano lingua, astronomia, gastronomia e buona educazione, e storia, e disegno, e geografia, insomma, tutto quanto può servire a stare al mondo in modo conveniente: capendo, o tentando di capire, cose e parole intelligentemente, ivi compresi quelle del cartello che indica la strada per Bengodo. E, ritornati così dove è quello, ormai capaci di sciogliere il nodo, i nostri quattro amici (ma perché adesso sono quattro? Ricordate quella coi libri? Anche lei c’è)

Leggono quelle parole cifrate che dicono così:
<<Per arrivare al paese dei giochi e della festa un’altra storia bisogna ascoltare perché, ormai, già finita è questa! >>. E se, anche, qualcuno vuole e brama sapere chi è la nuova, o cosa fa, o, almeno, saper come si chiama, legga la nuova storia, e lo saprà.

Chiara, Agostino, Paolo e Marina, facendo un viaggio per terra e per mare, nel mezzo di una splendida mattina arrivano a Bengodo per giocare: ma lì, non lo sapevano, è successo un guaio di politica sociale, sicché, per fare un esempio, adesso, fare un gioco è diventato un male.

Giocattoli? Giardini? Fuorilegge! Libri per bambini? Condannati! Nessuna legge ormai più li protegge: sono proibiti e dimenticati. Marina, Agostino, Paolo e Chiara non credono alle orecchie e agli occhi: una canzone è diventata rara, non c’è nemmeno l’ombra dei balocchi.

La situazione, certo, è molto brutta: i quattro stanno sulla spiaggia, chini, giocano un poco con la sabbia asciutta attenti che nessuno li indovini… Ma di quel gioco sono stanchi presto: Marina dice: <<Paolo, quel tuo zio, quel tipo sveglio, generoso e lesto che ci aiutò più volte, dico io, non può venire qui anche stavolta?>> <<Chissà dov’è…>>, risponde Paolo, e lei, senza perdersi d’animo: <<Ascolta, faresti un tentativo’>> << Lo farei!>>.

E i quattro scrivono un bel biglietto e lo mettono dentro una bottiglia, lo tappano per bene, stretto stretto, e lo gettano nel mare, che lo piglia. Non passa un’ora, anzi, mezz’oretta, che viene  sopra il mare un bel vascello  con i pirati in basso e per vendetta, e il Capitano, benché un occhio abbia coperto da un tondello tutto scuro, somiglia a quello che lanciò la gabbia su quel bastonatore bruto e duro, là sulla prima spiaggia, e anche un po’ a quello che rifece aprir la scuola: insomma, chi poi fosse non lo so, ma è certo che la nave svelta vola, arriva al porto, s’ancora alla terra, e scendono i pirati sveltamente, a quelli di Bengodo fanno guerra e li vincono in fretta e allegramente: cambia la legge e ritorna il gioco, attività premessa e consigliata: subito ognuno, come fosse un fuoco, si accende di canzone e di risata, e si corre, si gioca, si fa festa, volano palle, voci ed aquiloni, gira la giostra e gira la testa, e, nel giocare, tutti son campioni. I nostri quattro fanno conoscenza con nuovi amici, proprio lì a Bengodo, e a uno danno poi la preferenza per il suo garbato e fresco modo: si chiama Pippo e ha i capelli rossi, sa stare in equilibrio sulle mani, ha occhi molto allegri e molto mossi, e fa sempre discorsi buffi e strani. E poi, poiché a giocare ci si stanca, si stendono insieme a riposare sopra la spiaggia o sopra una panca, in bel silenzio, a guardare il mare: ed ecco il vascello dei pirati che scivola già verso l’orizzonte, e il Capitano che li ha liberati alza la mano e ride, là sul ponte.

Un giorno, Paolo accese la tivù  per vedere un programma in santa pace: ma ecco, appena accesa, venir giù color sangue, di fiamma e di brace, una guerra di botte e di sconquasso, cazzotti, pugnalate e scannamenti, un morto o un ferito a ogni passo, schizzi di occhi e spargersi di denti. È lì con gli occhi aperti ed ubriachi quando arriva Marina e dice: <<Basta! Basta con questi strilli di macachi, con questa brutta storia che devasta!>>. E cambia il programma, ed ecco vede ventotto ballerine incalza maglia che, sollevando tutte insieme il piede, cantano la Canzone della Quaglia tutta <<Te te, qua qua, ci ci, fu fu>>,sporgendo cosce e petto indietro e avanti. <<Basta!>>, lei dice, <<Non se ne può più di queste oche sciocche e chioccolanti!>>. E cambiano programma, ed ecco, ancora, un giochino di quiz e applausi finti che per presentatrice ha una signora dagli occhi e dai capelli tutti tinti che fa domande astruse e senza senso a concorrenti con le guance rosse e a chi risponde dà, come compenso, delle caramelline per tosse… <<Basta!>>, fa Chiara, appena arrivata, <<Io sono stufa di queste domande! Ma invece di questa pagliacciata non c’è qualcosa di più bello e grande?>>. E cambiano canale: ed ecco arriva un gruppo di persone sbadiglianti che parlano con voce totalmente irrilevanti. Dice Agostino, arrivato appena: <<Allora non c’è altro da guardare?>>. E Pippo: <<Anch’io ne ho la testa piena!>>.

E cambiano canale, per scovare programmi meno vuoti e meno tristi: ma sentono parole senza vita o dei consigli per fare gli acquisti: una sequenza brutta e instupidita d’immagini slegate, non sapienti. Chiara propone: <<Allora, la spegniamo?>>, e mentre, incerti, stanno a far commenti, passa un bambino che si chiama Adamo e dice: <<Io conosco un bel programma!>>. <<Davvero? Come fai?>>, chiede Marina, e lui: <<Me l’ha trovato mia mamma>>. <<Dai, fa vedere!>>: Adamo si avvicina, schiaccia un pulsante sopra l’apparecchio e appare un tipo tenero e tranquillo, né troppo giovane né troppo vecchio con la camicia color del mirtillo: racconta storie, mostra animali, insegna a fare cose con le mani, canta canzoni allegre, eccezionali, ricorda ieri e immagina domani, insegna divertendo molte cose: spiega perché il cielo è così azzurro, o ci sono le spine sulle rose, mostra come si fa l’acciaio e il burro:insomma, non ti perdere per il naso dicendoti sciocchezze a tutto spiano, ma fa che tu rimanga persuaso, ti porta fra le cose mano a mano, e assomiglia, sì, assomiglia un poco a quel signore strano, quel pirata che, a Bengodo, liberò il gioco… La compagnia, dopo essere stata mezz’ora lì a guardare ed ascoltare, si sente spinta, mossa ed agitata, con la voglia di ridere e fare, e spengono così il televisore e prendono a giocare tutti quanti: giochi a mano, di mente e di cuore, giochi di voce, di parole e canti.

Paolo e Agostino, Chiara e Marina, Pippo e Adamo, l’ultimo venuto, si trovarono a scuola una mattina e stavano scambiandosi un saluto, quando sentirono un altoparlante che diceva rombando: <<Tutti in fila! Tutti in silenzio, accisacripante, e fate con i libri una gran pila!>>. I sei bambini, guardandosi attorno, eseguirono gli ordini, stupidi: ma cosa capitava mai, quel giorno? A scuola, erano tutti ammattiti? Ed ecco, saltò fuori  un uomo grosso vestito di una nera palandrana e disse, con la voce da molosso: <<Sudditi alunni, questa settimana, e anche questo mese, e questo anno, la musica di scuola cambierà! Basta con le materie che si fanno, basta insegnare a voi la libertà! Da oggi studierete quel che voglio, seguirete le regole, obbedienti, e scriverete sopra al vostro foglio solo parole e frasi convenienti! Basta coi giochi, il corpo va indurito, e basta feste, occorre la tristezza, basta studiare quello che è gradito: da oggi imparerete con durezza! Ora, a caso, prendete dalla pila un libro, e imparatelo a memoria: e fatelo, s’intende, tutti in fila!>>.

E proseguiva il tipo,con gran boria, ad annunciare regole da pazzi, mentre lo ascoltavano, atterriti, dritti in fila, i poveri ragazzi. Poi, in silenzio, e come intontiti, su un libro a caso preso a studiare le parole a memoria, una a una: ma quelle non volevano restare, la mente non ne teneva nessuna.

<<Sentite>>, bisbigliò allora Adamo, <<Bisogna far qualcosa, non trovate?>> <<Sì che bisogna, ma cosa facciamo?>>, Chiara e Martina dissero, crucciate. <<Qualcuno che ci liberi…>>. <<Ma chi?>> <<Lo zio Diritto!>>, Paolo bisbigliò. <<Bravo, hai ragione! Giusto! Bene! Sì!>>. <<Come facciamo a dirglielo, però?>>. <<Perché non lo guidiamo tutti quanti?>>, disse una nuova, e la proposta piacque, e così, sette cuccioli ululanti, come sette sirene delle acque, gli amici cominciarono a strillare con voce acuta come una campana: <<Zio Diritto, vieni a liberare la nostra scuola da questa mattana!>>. <<Zitti! Silenzio! Non urlate! Buoni!>>, tuonava quel macaco tutto nero, <<Se non tacete, alunni  lazzaroni, vi picchio, e nessuno resta intero!>>. E alzava la bacchetta sulla testa di Marina, di Chiara e di Adamo, ma ancor più forte salì la protesta: tutti i bambini fecero il richiamo.

Ed ecco che la porta della scuola si apre con fracasso eccezionale e appare una visione che consola: quel tipo, il pescatore, insomma il tale che molte volte abbiamo conosciuto, arriva con delle manette, si avvicina sveltamente al bruto, l’acchiappa, attorno ai polsi gliele mette e poi lo porta via. Ed ecco, intanto, i maestri di scuola, tutti lieti.<<Ma dove eravate, cielo santo?>> domandarono i bambini molto inquieti. <<Un po’ in letargo>>, raccontano quelli, <<Ma adesso siamo svegli, lo vedete! Ora prendete fogli e pennarelli e andiamo a disegnare,se volete…>>.

E riprese la scuola divertente, quella dove si impara perché è bello: perchè, mettendo sale nella mente, poi si indovina ogni indovinello. E attorno alla loro nuova amica, quella che aveva consigliato di urlare insieme, si chiamava Enrica, ridevan tutti gli altri a perdifiato.

Enrica, Pippo, Paolo, Agostino, Chiara, Marina e Adamo, il mese dopo, erano in gita al Bosco di Pallino, in mezzo a biancospini e pungitopo, e percorrendo allegri un bel sentiero sentirono un rumore molto strano: sembrava un pianto leggero leggero che si sentiva appena, da lontano… Rimangono in ascolto silenziosi, facendo passi molto attentamente, attraversano sette fossi erbosi, sempre attenti a quello che si sente. Ecco più vicino… Ma cos’è? È un agnellino che si è perduto? No, è una voce umana: ma dov’è?

Sembra il lamento di chi chiede aiuto… tutti, allora, si mettono a gridare, proprio come facevano quel giorno quando c’era quel matto da scacciare: e chiamano, e ascoltano attorno, ascoltano in silenzio: ecco, risponde! Ed è proprio una voce di bambina, oppure di bambina, fra le fronde, è giù nel bosco, proprio lì vicino… Finalmente lo vedono, perché è una bambina, che piange, tace, strilla ancora un po’… Chiara, per prima, le si fa vicina. Sembra che abbia appena cinque anni, pallida, magra, malnutrita, sembra che abbia anche dei malanni, come se fosse, quasi, in fin di vita.

Forse si è persa, forse l’han perduta: la guardano i bambini attentamente. Chiara la prende in braccio, la saluta, la coccola, la culla dolcemente, e lei si calma e Chiara le dice: <<Come ti chiami, piccola?>>. Risponde con la sua voce, debolmente: <<Bice>>. E poi sta zitta, piange, si confonde. <<Ti sei perduta?>>, Marina le chiede e lei risponde: <<No, mi hanno lasciato>>. <<Perché?>>, dice Agostino mentre siede accanto a lei, nell’umido del prato. <<Perché non hanno niente da mangiare>>, risponde con la faccia bassa Bice. <<Ah, questa poi! Sembra di ascoltare le fiabe della nonna!>>, Paolo dice, e poi aggiunge: <<E’ una porcheria! Lo dice sempre anche zio Diritto: proprio nessuno può portare via la vita di un bambino: questo è scritto! <<Ma certo, si capisce!>>. <<Ma s’intende!>>, dicono in coro gli altri bambini, intanto tiran fuori le merende ed imboccano Bice a pezzettini. E poi, quando Bice si è saziata la portano con loro, e insieme vanno a dire che è stata abbandonata: qualcuno pregherà, per questo danno. E poi, contenti di essere in otto, riprendono la gita in compagnia: agli alberi frondosi passan sotto, camminano in freschissima allegria, e insieme a loro, come nuova amica, tenuta per la mano, c’è anche Bice: il suo abbandono è una storia antica, adesso sta con loro, ed è felice.

Tutti gli amici stanno festeggiando l’ottavo compleanno di Agostino, e ridono e scherzano, parlando: però c’è Pippo in un angolino. <<Pippo, che hai?>>, gli domanda Enrica e lui risponde: <<Vedi, sono a terra perché ho saputo che una mia amica abita dove c’è una brutta guerra>>.<<Ma vera, con bombe e pistole?>>, chiedono tutti quanti, impressionati. <<Sì, una vera guerra, e lei vuole scappare via da lì, ma i soldati non lasciano partire più la gente…>>

La festa s’interrompe; gli otto amici parlano della cosa fittamente: di colpo, ora, non sono più felici. Riflettono su quel che si può fare per aiutare quella ragazzina: <<Ma noi non possiamo mica dove c’è guerra!>>, fa Marina. <<Già>>, dice Adamo, <<Però, chissà se, studiando bene la topografia, si può trovare che un sistema c’è per andar fin là e portarla via…>> e guardano e studiano la mappa e pensano a manovre per riuscire: ma niente si può fare non si scappa, e intanto, Pippo, che continua a dire: <<Povera la mia amica Caterina perduta nel disastro della guerra! La sua casa, sapete, è una rovina, lei vive coi parenti sotto la terra…>>

Che fare? I bambini sono in crisi, ciascuno, ora, è molto triste e zitto, addio alle canzoni e ai sorrisi… <<Chiediamo aiuto allo zio Diritto?>>, propone ad un certo punto Adamo. Rispondono: <<Lui potrà far qualcosa!>>. E tutti insieme fanno il gran richiamo: <<Laggiù c’è una guerra sanguinosa, e una bambina che non ci vuol stare! Bisogna andare a prender Caterina, ma noi non ci possiamo proprio andare!>>. Ed ecco, un rumore si avvicina e c’è un elicottero che scende sopra il giardino, e ci sta un pilota che ha la faccia, più non ci sorprende, che sembra ai nostri amici un poco nota: <<Dov’è>>, lui domanda, e tutti quanti spiegano il luogo: lui s’alza da terra  con quella forza di pale rotanti e in breve arriva dove c’è la guerra, scende nel posto dove è Caterina, la fa salire con i suoi parenti, e poi, con loro, un po’ stordita: è magra, bianca in faccia, spaventata, perché era tremenda, là, la vita e un po’ di morte lei si era ammalata…

Ma adesso è salva, ora è al sicuro, non c’è più quel baccano che la spezza: a poco a poco si fa meno duro il suo volto, e torna l’allegrezza. Le stanno intorno, teneri, i bambini, molto contenti di quello che han fatto: le guerre sono cose da assassini, e di non farne mai stringono il patto.

Chiara, Agostino, Paolo e Marina, Pippo, Adamo, Bice, Enrica ed anche la loro nuova amica Caterina eran tutti al Pian delle Calanche: e c’era insieme a loro un piccolino, un cuginetto di Marina, Franco, un tipo con il ciuffo sbarazzino che da due giorni s’era unito al branco. Guardavano le stelle a tarda sera, col naso in aria e gli occhi spalancati per vedere il gran cielo come era e le stelle cadenti, imbambolati. <<Eccone una là>>, strillava Enrica col braccio teso. <<Ecco, l’ho trovata!>>.

Ma gli altri non la vedevano mica: perché  troppo veloce era passata. <<Eccone una!>>. <<Sì, l’ho vista anch’io!>>. <<Devi pensare un desiderio in fretta!>>. E poi, silenzio: solo il mormorio del fiume fresco, giù nella valletta. <<Ma che cos’è una stella cadente?>>, chiese ad un tratto Paolo, a voce piana. Disse Agostino: <<Beh, evidentemente, è una stella che cade, là lontana…>>. <<Davvero?>>, disse Chiara, <<interessante!>>. <<Invece no>>, disse Franco, <<a me pare...>>.

<<Ma cosa vuoi sapere, tu, ignorante?>>, fece Agostino <<Perché vuoi parlare?>>. Franco, restando lì mortificato, rimase zitto, senza dire niente. Marina, allora, con tono arrabbiato, disse: <<Agostino, sei un prepotente! Perché non lasci Franco dir la sua? Anche se avesse torto, non importa: lui ha la sua idea, e tu la tua!>>. E lo guardava con la faccia storta. <<Ma dai, non vedi com’è piccolino? Cosa vuoi che ne sappia delle stelle?>>, rispose un po’ beffardo Agostino, >>E’ buono solo a mangiare frittelle!>>.

Qualcuno rise e qualcuno no, e disse Bice: <<Io sono ancor piccola, però non son d’accordo con quello che dice!>>. <<Ma cosa vuoi saperne, bambolina?>>, disse di nuovo Agostino, irridente. <<Adesso basta!>>, protestò Marina. <<Lascia parlare Bice, prepotente! Non sai che tutti, proprio tutti, dico, possono dire la propria opinione? Chi ti credi di esser, pappafico?>>. E Paolo disse, con grande passione: <<Lo afferma anche mio zio Diritto!>>.

E guardavamo tutti Agostino che rimaneva lì, crucciato e zitto. Bice aspettò un momentino e poi disse: <<Mi ha detto la mamma che una stella cadente è un frammento che cade sulla Terra, e che s’infiamma, e brucia tutto intero in un momento>>. <<E’ quello che ho imparato io a scuola!>>, disse Franco che aveva taciuto, <<Ma Agostino mi ha tolto la parola, ecco perché sono rimasto muto…>>. Di fronte a quella prova di sapienza Agostino rimase fermo e buono e poi disse, senza più violenza: <<Avete visto che somaro sono? >>. E si mise a ragliare buffamente sotto le stelle luminose in cielo e gli altri insieme a lui, allegramente, e si sciolse in quel ridere ogni gelo.


I tuoi diritti sono tanti, ma dieci sono quelli che ti raccontiamo nei capitoli di questo libro. Ogni diritto ha un nome, proprio come i bambini della storia. Ecco i nomi dei tuoi diritti:
   -Diritto all’identità
   -Diritto ad essere difesi dalla violenza
   -Diritto alla salute e all’esistenza
   -Diritto a’istruzione
   -Diritto al gioco e al riposo
   -Diritto all’informazione
   -Diritto all’educazione
   -Diritto alla vita e allo sviluppo
   -Diritto alla libertà e alla pace
   -Diritto alla libertà d’opinione
   Hai capito in quali capitoli si nascondono? Se non li conosci tutti puoi trovare la CONVEZIONE SUI DIRITTI DELL’INFANZIA

Nessun commento:

Posta un commento